E’ l’ora di voltare pagina e di rendere le regioni italiane tutte uguali, tutte speciali. Mutate le condizioni generali del Paese, appare anacronistica e anche fonte di privilegi ingiustificabili la distinzione tra regioni a statuto ordinario e regioni a statuto speciale. Occorre riconoscere che alcuni aspetti delle regioni a statuto speciali sono positivi e dovrebbero perciò essere estesi anche a quelle a statuto ordinario, ma altri elementi non sono giustificabili e, in alcuni casi, sono all’origine di scelte arbitrarie e di sprechi, senza che in molti casi ...

neanche lo Stato possa intervenire, data la tutela costituzionale.

Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Sardegna e Sicilia sono le cinque regioni a statuto speciale e godono di particolari forme e condizioni di autonomia tutelate dall’articolo 16 della Costituzione Italiana. Tutte e cinque sono dotate di uno statuto speciale, approvato dal Parlamento con una legge costituzionale, e in una serie di materie decidono con potestà legislativa esclusiva, senza cioè che lo Stato possa intervenire. L’autonomia finanziaria gode di particolari privilegi e la spesa media pro-capite è ben più alta di quella delle regioni a statuto ordinario

L’autonomia della Sicilia viene sancita prima ancora del referendum istituzionale del 2 giugno 1946, con la formazione di istituzioni indipendenti e l’approvazione dello statuto speciale il 15 maggio 1946; la Valle d’Aosta nasce come circoscrizione autonoma il 7 settembre 1945; l’autonomia delle province di Bolzano e Trento deriva dagli accordi De Gasperi-Grüber nell’ambito della Conferenza di pace di Parigi; la Sardegna è prevista autonoma dalla XVIII disposizione transitoria e finale della Costituzione; solo nel 1963, nel clima della guerra fredda e della questione dei confini orientali, viene dichiarato autonomo il Friuli Venezia Giulia. Le prime quattro regioni hanno lo statuto speciale con le leggi costituzionali approvate il 26 febbraio 1948, mentre lo statuto del Friuli Venezia Giulia è approvato il 31 gennaio 1963.

L’autonomia regionale ha storie, sviluppi e anche sprechi diversi da un territorio all’altro, ricorrenti in tante cronache sui privilegi della casta. Basti pensare ai debiti e a certe incomprensibili spese della Sicilia, al compenso del presidente della Provincia di Bolzano che guadagnerebbe più del presidente degli Stati Uniti, alla Sardegna che ha raddoppiato il numero delle province, poi cancellate con un referendum non ancora attuato. Certo è che le regioni a statuto speciale ricevono dallo Stato ben più cospicui fondi rispetto alle regioni a statuto ordinario.   

Tra federalismo strombazzato, schizofrenico, propagandistico per ragioni elettorali ed esigenza di contenere il potere dello Stato in ambiti di interesse generale, occorre attuare pienamente l’articolo 5 della Costituzione sulle autonomie: «La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento». Occorre salvaguardare l’unità della nazione, costruita con il sacrificio di molti spesso dimenticato da chi ignora la storia e da politici da strapazzo, ma anche affidare ampie autonomie alle regioni, in un quadro di rigorosa legalità, assoluta trasparenza e di severi controlli, questi sì anche da parte dello Stato. Sprechi, privilegi, irregolarità spesso non emergono dagli ambiti locali, dove il controllo dei media è limitato e le complicità politiche sono meno individuabili. Tanti sedicenti “servitori della comunità” non sono proprio missionari votati al bene comune e perciò la trasparenza dovrebbe essere massima negli aspetti economici. Tutte le spese, anche minime, degli enti locali dovrebbero essere di pubblico dominio e di facile accesso, con l’obbligo immediato di pubblicare ogni voce sui siti istituzionali. Esistono leggi che impongono agli eletti di comunicare la propria situazione patrimoniale on-line, ma molti non lo fanno o lo fanno parzialmente o rinviano gli adempimenti, e questo non dovrebbe essere tollerato.

L’esperienza delle regioni a statuto speciale ha fatto emergere anche positività, le cosiddette best practises, che andrebbero valorizzate ed estese. Il gruppo di saggi creato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha suggerito di «rilanciare le ragioni della specialità», oltre gli schieramenti ideologici e gli interessi localistici, nel segno dell’interesse comune che ha animato i padri costituenti. Occorre puntare su donne e uomini che abbiano un forte senso dello Stato e della comunità, su voci nuove dopo i risultati fallimentari di decenni di vecchia politica e riciclati politici, su figure capaci di scelte coraggiose anche se impopolari, su chi ha il senso dello Stato, crede fortemente nella legalità ed è in grado di intervenire con riforme eque e controlli severi.

Un forte senso della legalità, unito al gusto della cultura, può aiutare a riscoprire le ragioni della comunità e a valorizzare le innumerevoli risorse del nostro Paese, con benefici effetti anche sulla formazione dei nostri ragazzi, sull’immagine dell’Italia nel contesto internazionale, sull’economia aperta alle sfide della concorrenza, che punti sulla ricerca e sull’innovazione, sul merito e sulla valorizzazione della ricchezza inestimabile del nostro patrimonio naturalistico e artistico,. Un contributo ancor più rilevante a questo percorso può venire dalle regioni, se diverranno tutte uguali, tutte speciali. (Felice d’Adamo)

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