«Ei fu. Siccome immobile…». Il 5 maggio rievoca eventi storici e memorie personali che hanno segnato l’adolescenza di tutti. Sono passati 202 anni dalla morte dell’ultimo grande imperatore dell’Occidente, sono passati 201 anni dalla composizione del Cinque Maggio, l’ode di Alessandro Manzoni impressa nella memoria di molti fin dai banchi di scuola. Il 5 maggio 1821, nella piccola isola di Sant’Elena sperduta fra le acque dell’Oceano Atlantico, moriva esule Napoleone Bonaparte. L’evento che colpì il mondo di allora toccò profondamente anche Alessandro Manzoni.
Il grande scrittore milanese, che non fu mai fra coloro che adularono Napoleone nelle vittorie né fra quanti lo disprezzarono nelle sconfitte, scrisse ...
di getto il Cinque Maggio, la celebre poesia immancabile in ogni antologia scolastica e spesso rievocata. Lo sguardo di ammirazione, fede e disincanto dell’autore de I promessi sposi esprime lo sbigottimento del mondo alla fine di un uomo che aveva segnato la storia europea.
Con le battaglie che sconvolsero l’intera Europa e suscitarono grandi sogni e immense delusioni, Napoleone portò un vento nuovo nell’organizzazione dello Stato. Deluse i patrioti italiani quando con il Trattato di Campoformio cedette la Repubblica di Venezia agli Austriaci, sconvolse i piccoli stati della penisola, fece razzia delle opere d’arte che finirono in Francia, ma fece anche riforme epocali che sono giunte fino a noi. Emancipò i cittadini dall’antica nobiltà che si riteneva di origine divina, introdusse la meritocrazia aprendo le carriere al popolo, introdusse il Codice Civile e un buon sistema amministrativo, riformò il sistema monetario e il sistema fiscale, fece pagare le tasse a chi non le pagava, creò un istituto di statistica perché occorre sempre basarsi sui dati, introdusse la Corte dei Conti per tenere gli introiti sotto controllo.
L’ammirazione per Napoleone espressa da Alessandro Manzoni nel Cinque Maggio fu comune ad altri geni dell’epoca. Basti ricordare il filosofo tedesco Hegel che quando l’incontrò disse «Ho visto l’anima del mondo a cavallo» o Beethoven che gli dedicò la Terza Sinfonia, l’Eroica. Del resto Napoleone amava la cultura, portava con sé una copia de I dolori del giovane Werter di Goethe e aveva una biblioteca da viaggio che lo seguiva sempre. Aveva letto i classici, da Senofonte a Cesare, Seneca e Tacito, condivideva tutto de Il Principe di Machiavelli, amava i grandi autori francesi, al suo seguito c’era il grande Stendhal de La Certosa di Parma. Era convinto che le opere più importanti al mondo si realizzano con la cultura.
Le leggendarie imprese hanno fatto di Napoleone un mito e la sua figura è rievocata ancora oggi. Si pensi, ad esempio, alle recentissime opere di Ernesto Ferrero, da N., vincitore del Premio Strega 2000, a Napoleone in venti parole del 2021. (F.d'A.)
Rileggiamo l’ode Cinque Maggio dedicata a Napoleone da Alessandro Manzoni:
Ei fu. Siccome immobile,
Dato il mortal sospiro,
Stette la spoglia immemore
Orba di tanto spiro,
Così percossa, attonita
La terra al nunzio sta,
Muta pensando all’ultima
Ora dell’uom fatale;
Nè sa quando una simile
Orma di piè mortale
La sua cruenta polvere
A calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
Vide il mio genio e tacque;
Quando, con vece assidua,
Cadde, risorse e giacque,
Di mille voci al sonito
Mista la sua non ha:
Vergin di servo encomio
E di codardo oltraggio,
Sorge or commosso al subito
Sparir di tanto raggio:
E scioglie all’urna un cantico
Che forse non morrà.
Dall’Alpi alle Piramidi,
Dal Manzanarre al Reno,
Di quel securo il fulmine
Tenea dietro al baleno;
Scoppiò da Scilla al Tanai,
Dall’uno all’altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
L’ardua sentenza: nui
Chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
Del creator suo spirito
Più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
Gioia d’un gran disegno,
L’ansia d’un cor che indocile
Serve, pensando al regno;
E il giunge, e tiene un premio
Ch’era follia sperar;
Tutto ei provò: la gloria
Maggior dopo il periglio,
La fuga e la vittoria,
La reggia e il tristo esiglio:
Due volte nella polvere,
Due volte sull’altar.
Ei si nomò: due secoli,
L’un contro l’altro armato,
Sommessi a lui si volsero,
Come aspettando il fato;
Ei fe’ silenzio, ed arbitro
S’assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell’ozio
Chiuse in sì breve sponda,
Segno d’immensa invidia
E di pietà profonda,
D’inestinguibil odio
E d’indomato amor.
Come sul capo al naufrago
L’onda s’avvolve e pesa,
L’onda su cui del misero,
Alta pur dianzi e tesa,
Scorrea la vista a scernere
Prode remote invan;
Tal su quell’alma il cumulo
Delle memorie scese!
Oh quante volte ai posteri
Narrar se stesso imprese,
E sull’eterne pagine
Cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
Morir d’un giorno inerte,
Chinati i rai fulminei,
Le braccia al sen conserte,
Stette, e dei dì che furono
L’assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
Tende, e i percossi valli,
E il lampo de’ manipoli,
E l’onda dei cavalli,
E il concitato imperio,
E il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio
Cadde lo spirto anelo,
E disperò: ma valida
Venne una man dal cielo,
E in più spirabil aere
Pietosa il trasportò;
E l’avviò, pei floridi
Sentier della speranza,
Ai campi eterni, al premio
Che i desidéri avanza,
Dov’è silenzio e tenebre
La gloria che passò.
Bella Immortal! benefica
Fede ai trionfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
Chè più superba altezza
Al disonor del Golgota
Giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
Sperdi ogni ria parola:
Il Dio che atterra e suscita,
Che affanna e che consola,
Sulla deserta coltrice
Accanto a lui posò.