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INCIPIT L'inizio di ...

Tristano

di Thomas Mann

(Germania 1875-1955)

Eccoci qui, al sanatorio “La Quiete”! Col suo lungo fabbricato principale e le ali contigue, si stende, bianco e rettilineo, in mezzo all’ampio giardino, che assai piacevolmente adornano grotte, pergolati e chioschetti rivestiti di corteggia d’albero; mentre dietro i tetti d’ardesia si ergono, imponenti, verso il cielo i monti verdi d’abeti e digradanti in piacevoli dirupi.

Ancora il dottor Leander dirige lo stabilimento: barba nera biforcuta, dura e riccia come il crine di cavallo di cui s’imbottiscono i mobili; lenti grosse, scintillanti; aspetto di uomo che la scienza ha raggelato, indurito e riempito di un calmo e indulgente pessimismo…

«Non avrò più fame»

Il primo film che le nostre nonne e le nostre madri andarono a vedere dopo la guerra fu Via col vento. Molte si identificarono in una scena: Rossella torna nella sua fattoria, la trova distrutta, e siccome non mangia da giorni strappa una piantina, ne rosicchia le radici, la leva al cielo e grida: «Giuro che non ... - LEGGI TUTTO

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Non ricordava l’ultima volta che nevicò d’aprile. Da qualche tempo, a pensarci, erano sempre di più le cose che ricordava vagamente o che stava dimenticando del tutto. Era come se ad un tratto dei ...

suoi giorni, avesse incominciato a prendere le distanze dal mondo che gli girava intorno. Lui nemmeno se ne accorgeva: reiterava le domande, cantilenando, fino allo spasimo altrui, s’acquietava, senza espressioni sul volto, alle risposte rassicuranti dei familiari e degli amici in visita, pareva appisolarsi sulla poltrona, il plaid sulle ginocchia, fino a che non si destava con domande nuove, frammezzate a lunghi silenzi.

La nevicata d’aprile lo colse davanti alla finestra. Aveva lasciato la poltrona, senza un motivo. Vagò da una stanza all’altra con lo sguardo fisso nel vuoto, si fermò dietro i vetri della sala buona, scostò le tendine di merletto e restò investito da quella visione fuori tempo che appariva come una grazia inconsapevole. La neve scendeva con leggiadria di zucchero velato. Non c’era soffio di vento ad arruffarla. Silenziosa cadeva nel silenzio delle cose. Una musica non udita la trasportava come per una danza. Non era frenesia di vortice ma un lento da ballare in coppia. La danza sfiorava i mandorli della distesa che sembravano nuovamente fiorire; accarezzava i narcisi rinati nel greppo roccioso dell’orto, respirava lungo il filare della recintura, ischeletrito ancora, si acquietava sopra la terra spoglia per ricominciare daccapo, senza fine.

Il suo fiato rendeva a tratti opachi i vetri. Lui vi passava la mano sopra con movimento leggero, e sembrava essere tornato ragazzo, quando su quelle opacità disegnava figure e lettere d’alfabeto per cancellarli subito dopo, in attesa di nuovi sospiri. Improvvisamente, come sprazzo di sole apparito tra una copertura di nuvole, un sorriso lungo gli aperse le labbra serrate. Gli risero gli occhi ridiventati vivaci e tutto un mondo lontano gli passò davanti con frenetica dolcezza.

Nevicava anche allora. Sua madre continuava a sferruzzare per confezionare maglie di lana, guanti e calzettoni lunghi per il lungo inverno. Si rivedeva chiaramente. Maglione di lana. Sopra i calzoni corti un cappottino di panno grigio. Scarponcini fatti su misura, come si usava allora, dal calzolaio di famiglia, con lunette e chiodi per arginarne il consumo e impedire dannose scivolate. Una sciarpa attorno al collo, annodata davanti perché lo tenesse più caldo.

Si vestiva così, d’inverno, sotto la neve che scendeva abbondante. Si doveva salire sui tetti per spalarla sulla strada e scongiurarne il crollo. C’era una foto di suo padre custodita nell’albo, a ricordarlo. Uno scatto solo, nella pausa tra un colpo di pala e l’altro. Era appoggiato sul manico, a braccia incrociate, alla stregua dei pastori che attendono al gregge al pascolo, con la pazienza del tempo dilatato che egli stesso aveva sperimentato da ragazzo.

Quante volte gliene aveva parlato suo padre. Quelle giornate che non finivano mai, il pasto frugale tirato fuori dalla sacca di tela, pane e formaggio, ed era già un lusso, innaffiato dall’acqua delle Cupelle. E tra le ore i canti dei classici mandati a memoria. Gli stessi che da adulto ripeteva ai figli, narrando le gesta di Orlando o ricordando Pia de’ Tolomei, esiliata entro una torre, in maremma, dalla gelosia ingiustificata del marito e morta di struggimento.

Ora la neve s’era fatta più intensa, i fiocchi erano diventati farfalle, come quelle che s’accumulavano lungo le vie e sopra la scalinata di san Bernardino quando andava alle elementari, all’Aquila, e prendeva a tirare palle di neve con i compagni di scuola, dopo aver giocato alle impronte, sdraiandosi sopra tutto quel candore, incurante dei vestiti intrisi e delle infreddature.

Sorrise rivedendosi con i calzoni corti. Allora si portavano d’estate e d’inverno e a quelli lunghi si accedeva solo al primo anno delle Superiori. Questo particolare lo aveva sempre divertito, nella pienezza della lucidità. Il freddo ci ha temprati, diceva con orgoglio ai figli, nella casa riscaldata all’eccesso. E anche adesso si rivedeva in quella foggia, come per la prima comunione quando vestito di bianco fu portato con il fratello nella piazzetta dei Nove Martiri per la foto ricordo. Anche quella foto è nell’albo, la giacca tanto lunga che copre i calzoncini troppo corti sopra le ossute ginocchia. Era felice, pensò, come non lo era più stato.
Improvvisamente fece memoria di quanto una santa monaca gli disse decenni più tardi. La felicità è uno stato transitorio. Attimi interrotti dal dolore. E’ la beatitudine che dura per sempre, perché è quiete dell’anima che viene da Dio e vive di innocenza. La neve d’aprile non cadeva più. L’uomo si scosse di colpo, il suo volto allontanò ogni cenno di sorriso. Tornò a sedere in poltrona, il plaid sulle ginocchia. Gli altri non lo sapevano, ma era beato. (Mario Narducci)

EXPLICIT La fine di ...

Il gattopardo

di Giuseppe Tomasi di Lampedusa

(Palermo 1896-1957)

… Pochi minuti dopo quel che rimaneva di Bendicò venne buttato in un angolo del cortile che l’immondezzaio visitava ogni giorno: durante il volo giù dalla finestra la sua forma si ricompose un istante: si sarebbe potuto vedere danzare nell’aria un quadrupede dai lunghi baffi e l’anteriore destro alzato sembrava imprecare. Poi tutto trovò pace in un mucchietto di polvere livida.

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La Crusca per l'Italia

Una storica istituzione a tutela della lingua italiana, impegnata ancora oggi nelle nuove frontiere dell’evoluzione linguistica, è l’Accademia della Crusca, che ha sede a Firenze nella Villa Medicea di Castello. Il sito web (www.accademiadellacrusca.it) è un portale interamente dedicato alla lingua ... - LEGGI TUTTO

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